Buona Pasqua dall’Azione Cattolica di Rimini
12 Aprile 2020Fiocco Azzurro in AC
19 Aprile 2020Papa Francesco, Venerdì 27 marzo
«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v.40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli. […]
Silvia Tagliavini – Consigliere Diocesano
Una impressione enorme ha destato in tutti noi l’immagine del Papa che saliva lentamente la rampa di S. Pietro: una piccola figure bianca sul selciato bianco e bagnato, solo, in una piazza vuota che il silenzio riempiva in modo sconcertante. Immagini di fragilità e di potenza assieme.
Nella sua omelia, fatta prima dell’adorazione al Santissimo, il Papa ha colto ed espresso in poche parole semplici e vibranti lo stato d’animo di tutti noi “impauriti e smarriti, fragili e disorientati” per essere stati colti di sorpresa, senza nessun pre-avviso, da una tempesta “inaspettata e furiosa” che ci ha fatto scoprire quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri: abbiamo bisogno di fratelli proprio noi figli unici di un secolo che ci ha instillato lentamente il dolce filtro velenoso dell’individualismo, del “mio”, del “per me solo”, in competizione perenne con chi potrebbe toglierci beni che riteniamo nostro diritto possedere gelosamente ed esclusivamente.
Nel suo intenso e breve discorso, il Papa ci invita a riflettere sulle nostre sicurezze (dette “false e superficiali”) che si sono frantumate di fronte a questo inedito, spaventoso evento mondiale. Una sicurezza che non era mai stata scalfita dagli eventi negativi che pure continuavano a succedere (guerre, carestie, genocidi, sopraffazioni…) ma che consideravamo fossero sempre altrove. La società che mitizzava il possesso delle conoscenze si trova di fronte all’incomprensibile, all’ignoto e sconosciuto.
Il racconto evangelico della “Tempesta sedata” è il filo conduttore ma pure il quadro rappresentativo della nostra situazione. Ci sentiamo inermi, impotenti, persi senza nessuna di quelle risorse che i nostri padri avevano e a cui potevano attingere nelle avversità. Abbiamo imparato la frenesia di riempire i frigoriferi di cibo ma abbiamo perso il concetto di come e di cosa nutrirci. Gesù ce lo ha detto (Mt.6) “non preoccupatevi di quello che mangerete, berrete, indosserete: il Padre vostro celeste vi nutre…” Ma noi abbiamo perso questa certezza e anche quella di avere Gesù sempre con noi, che condivide le nostre storie conducendole verso la Luce della Resurrezione.
Luce che già vediamo quando in mezzo a tante tribolazioni, dolori, paure e morte si aprono spazi imprevisti di fraternità fra gli esseri umani, di compassione e di dedizione agli altri che si trasformano in DONI di scambio e di reciprocità, facendoci scoprire cosa sia il Bene Comune. E facendoci capire che la distanza, salutare e giusta in momenti come quelli attuali, non consiste nell’alzare muri che ci nascondano allo sguardo implorante dell’Altro.